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Se credi che i tuoi genitori si siano conosciuti in un altro modo, allora stai vivendo in un’illusione creata dallo Sharingan

Summary:

When you are 18, the government gives each pair of soulmates a chest (for the person born first) and a key (for the younger person). You could be reached anywhere and even if not, you could probably have a good life; even when your name is Sakata Gintoki and spent your 18° birthday in prison waiting to die.

Alla maggiore età, il governo consegna a ogni coppia di anime gemelle uno scrigno (per la persona nata prima) e una chiave (per la persona più giovane). Questa comunicazione può raggiungervi ovunque, perfino nel regno dei demoni, ma se anche se non doveste mai trovare la vostra anima gemella, potetre vivere lo stesso una vita meravigliosa, perfino se vi chiamate Sakata Gintoki e il vostro diciottesimo compleanno lo passate in prigione.

Notes:

(See the end of the work for notes.)

Work Text:

Se credi che i tuoi genitori si siano conosciuti diversamente allora stai vivendo in un'illusione creata dallo Sharingan

 

I tuttofare non fanno neanche fatto in tempo a girare l’angolo, che la figlia del loro nuovo cliente li raggiunge, correndo. “Tuttofare!” li chiama, ansimando,”Tuttofare vi prego fermatevi!”.

Gintoki si ferma e mette su la solita espressione da pesce lesso: “Che c’è ragazzina? Il ladro ti ha rubato anche il diario segreto e non vuoi farlo sapere a tuo padre?”
“Sì, sì!” gli dà subito manforte Kagura, “per caso ci avevi scritto dentro il nome del tuo innamorato?”
La ragazza arrossisce, nascondendo il volto dietro le maniche del suo kimono rosa.
“Lascia perdere questi due idioti, Sakura-chan!” interviene Shinpachi, arrossito a sua volta davanti all’imbarazzo della giovane donna. “Questi due non sanno proprio come comportarsi e sono terribilmente dispiaciuti!”, poi afferra le teste dei suoi due amici e le abbassa a forza, “Vero?”
“Ehi Shinpachi, ma che stai facendo? Così mi rovini i capelli! Ahia!”
“È impossibile rovinare più di così quel cespuglio riccio che ti ritrovi sulla testa, Gin, cresci e fattene una ragione!”
“Così mi spezzi il cuore Shinpachi, sei crudele!” insiste il samurai, mentre si contorce sotto la presa salda del ragazzo.
“Ahia ahia Shinpachi mi rovini la pettinatura!” protesta in contemporanea la ragazzina.
“Stai zitta Kagura e scusati come si deve: la famiglia di Sakura ci ha promesso una bella ricompensa se riusciamo a trovare il ladro e il nostro frigo è vuoto, perciò dobbiamo portare rispetto!”
“Ahia! Io non porto rispetto a una ragazzina che scrive il nome del suo innamorato sul diario e poi se lo fa rubare!” dice Kagura, che chiude il suo ombrello parasole e inizia a usarlo per colpire la mano del ragazzo.
“É perfettamente normale scrivere il nome della propria cotta sul diario a quell’età” le spiega Shinpachi, che lascia la presa sui capelli di entrambi i suoi amici e scuote la mano per far passare il dolore. Kagura apre il suo ombrello e lo appoggia su una spalla: “E tu che ne sai Shinpachi? Non sei una mica una ragazza!”
“Ma sono certo che ogni ragazza….”
“Ah Shinpachi che fai sei arrossito?” lo interrompe Gin, mentre ancora si massaggia la testa, infastidito "allora anche tu hai un diario segreto nascosto sotto i porno?”
“Ti sembra un argomento da tirare fuori davanti a un cliente?!” Sbraita il ragazzino e lo colpisce con un pungo talmente forte da scaraventarlo dall’altra parte della strada. “Scusaci tanto Sakura-chan.” si affretta ad aggiungere, con un tono di voce molto più normale, “siamo profondamente dispiaciuti”, aggiunge e si inchina ripetutamente.
“Sì, Sakura-chan scusa Shinpachi per essere un adolescente arrapato”, grugnisce Kagura.
“Kagura non essere così dura” Gracchia Gintoki, rimettendosi in seduto e massaggiandosi la mascella offesa, “è perfettamente normale avere quelle pulsioni alla sua età.”
“Gin, dici così solo perché anche tu sei un porco!”
“Come ti permetti!” il samurai salta in piedi e punta un dito contro la ragazzina: “io non sono un porco! ‘Sta sera a letto senza cena!”

 

La risata argentina di Sakura interruppe la risposta di Kagura e l’inizio di un tentativo di mediazione di Shinpachi. I tre si voltano verso di lei, perplessi.“Sakura-chan si è rotta”, dice la yato, la testa piegata da un lato per osservare meglio quello strano fenomeno.
“Ehi Ehi, Sakura, vedi di non impazzire prima che tuo padre possa pagarci!” dice il samurai con più di una nota di panico nella voce.
“Adesso ci arrivi Gin?!” sbotta Shinpachi, “lo dico dall’inizio io! Presto dobbiamo fare qualcosa prima che…”

“Quando mio padre ha detto di aver assunto dei tuttofare pensavo che avesse trovato delle persone ciniche, disposte a tutto per guadagnare qualcosa, ma vedervi litigare in questo modo mi rassicura. Mi ricordate mio fratello” Sakura nasconde il sorriso con una mano e chiude gli occhi: “Siete davvero delle brave persone!” trilla, “adesso non ho più paura di rivelarvi il mio segreto”.

Lo sguardo della ragazza si fa serio e tre tuttofare, si voltano nella sua direzione: “So che mio padre vi ha detto tutto sul perché siamo stati derubati e so anche che vi ha dato una lista degli oggetti scomparsi, ma lui” Sakura esita: si morde il labbro e gli occhi le si fanno lucidi, poi alza lo sguardo e dice: “Mio padre… C'è una cosa che lui non sa. Ieri sera è stato rubato anche il mio scrigno”. La ragazza prende un grosso respiro e, rapida, come a volersi togliere un cerotto senza farsi troppo male, dice: “Il mio compleanno è stato ieri e aspettavo che mio padre si fosse rimesso dal viaggio prima di parlargliene perché vedete io in realtà.…” nasconde il volto tra le mani e poi aggiunge: “Non ho ancora avuto il coraggio di dirglielo: lui si aspetta così tanto da me e io non sono neanche stata in grado di proteggere uno scrigno che avevo da meno di ventiquattro ore”. Gli occhi supplicanti che la ragazza rivolge ai tre tuttofare sono pieni di lacrime ora: ”Come potrò mai essere una buona moglie?”

Shinpachi annuisce, serio: “Non ti preoccupare, Sakura-chan, ci pensiamo noi, non è vero Gin?”
“Sì, sì, che problema c’è? È solo un oggetto in più da recuperare no?” risponde Gintoki, voltandosi e sventolando la mano in segno di saluto. “Kagura si intrufolerà nella tua camera e lo rimetterà al suo posto senza che tuo padre neanche se ne accorga.”
“Certo che sì”, aggiunge la ragazzina, incamminandosi dietro al samurai: “Io sono un vero ninja! E non permetterei mai a un puzzone come Shinpachi di mettere piede di nascosto nella tua stanza, Sakura-chan!”
“EHI! Mi lavo tutti i giorni io!” protesta Shinpachi, affrettandosi a raggiungerli.
“Se invece non vuoi”, aggiunge Gintoki, fermandosi: “Lo faremo sparire per sempre. Sta a te scegliere, ragazzina.”

Sakura annuisce in risposta e si inchina anche se non possono vederla: “Grazie” sussurra, ma i tre paiono sentirla lo stesso.

 

 

Dopo diverse visite a una serie di bar malfamati avevano finalmente individuato il sospetto. O meglio avevano capito che bar frequentasse.

Kagura e Shinpachi si erano rifiutati categoricamente di farci entrare Gintoki da solo, per non correre il rischio che sperperasse tutti i loro averi in alcol.
Gintoki si era rifiutato di fare entrare Kagura e Shinpachi da soli, perché era un adulto responsabile, lui, e loro solo due mocciosi: non importava che una avesse la forza di un gorilla e l’altro fosse solo un paio di occhiali. Subito dopo si era categoricamente rifiutato di bere con due ragazzini, perché non era divertente. Certo che doveva bere, se non volevano dare nell’occhio.
La sicurezza del locale, invece, si era rifiutata di fare entrare tutti e tre perché durante la loro discussione avevano distrutto la porta, l’insegna e un paio di tavoli. Non glieli aveva fatti pagare, però, perché i tuttofare avevano un incredibile talento nello scappare dai creditori.

 

Quindi stavano aspettando in un vicolo. 

O meglio si sono appostati in un vicolo nell’attesa che il sospetto si palesi. Gintoki ha usato esattamente quella parola e questo ha portato a dieci minuti di discussione su che cosa volesse veramente dire “palesi”. Kagura era convinta che si trattasse di un nuovo tipo di pesce, mentre Shinpachi avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco sul fatto che Gin avesse copiato quella parola da una delle sue serie poliziesche preferite senza sapere davvero cosa significhi.
L’attesa, però, è lunga: il giornale con i buchi per gli occhi è diventato un ingombro, i baffoni finti prudono, i cappelli da detective fanno sudare la testa e l’impermeabile si appiccica in maniera sgradevole sulla pelle dei tre tuttofare.


Kagura sbuffa, mette in bocca un’alga sott’aceto e chiede: "Ehi Gin cos'era quello scrigno che la cliente ci ha chiesto di recuperare? Contiene qualcosa di prezioso?"

"Uhm si più o meno” annuisce lui, senza togliere gli occhi dal locale, al cui esterno campeggiano tre fogli su cui sono scarabocchiate le loro facce. Il proprietario l’ha proprio rappezzata malamente, quella porta, conosce dei tuttofare che avrebbero saputo fare un lavoro migliore.

"Quindi se è molto prezioso dovremmo farci pagare molto di più! Più un extra per mantenere il silenzio. Sono stanca di mangiare solo riso con l’uovo!”“Mangiamo solo riso con l’uovo perchè tu mangi come dieci lottatori di sumo”
"Come ti permetti Gin-chan!” si indigna lei strattonandolo per lo yukata, “Non si dicono queste cose a una ragazza! Io non mangio affatto come dieci lottatori di sumo! Io mangio come dieci lottatori di wrestling!”
"E in che modo questo sarebbe meglio?” sbotta Shinpachi che davanti a quell’idiozia non riesce a mantenere la calma.
"Lo sanno tutti che i wrestler sono più femminili dei lottatori di sumo. Solo degli idioti come voi possono preferire i lottatori di sumo a quelli di wrestling!”
"Ma la volete piantare di urlare voi due?” interviene Gintoki, girandosi nella direzione dei due ragazzini, “Siamo nel mezzo di un appostamento!”
“Ma senti un po’ chi parla!” gli grida Shinpachi, poi si aggiusta gli occhiali e continua: “Non avresti dovuto paragonare Kagura a dei lottatori di sumo: è pur sempre una ragazza!”
“Hai sentito Gin? Ascolta il paio di occhiali”
Gin si stringe nelle spalle e si disinteressa all’intera faccenda, mentre Shinpachi alza gli occhi al cielo: “Kagura chan”, riprende, gentile, "appena diventano maggiorenni a ogni coppia di anime gemelle viene consegnato uno scrigno (per la persona nata prima) e una chiave (per la persona più giovane). Quello è il tipo di scrigno che Sakura Chan ci ha chiesto di recuperare. Sul tuo pianeta non succede?”

“Uffa, ma che noia!”, sbuffa lei, dando le spalle ai due amici e ruotando  pigramente l’ombrello che tiene appoggiato sulla spalla: “Se davvero Sakura Chan ci tiene così tanto alla sua anima gemella perchè non se lo va a prendere da sola quello scrigno? Se fosse davvero innamorata non si affiderebbe a dei buoni a nulla come noi" dice Kagura, infilandosi un dito nel naso.
"Hai perfettamente ragione Kagura”, la sostiene Gintoki, infilandosi a sua volta un dito nel naso. "Ma cosa ci vuoi fare, i giovani d'oggi non hanno più spina dorsale. Ai miei tempi nessuna ragazza si sarebbe fatta rubare il suo scrigno così facilmente: avrebbe lottato fino alla morte e avrebbe disobbedito persino ai suoi genitori per coronare il suo sogno d'amore"
"Vero, vero, in amore bisogna saper sfidare anche le suocere! Come in quella serie tv che guardiamo alla sera!”
"Ma cosa cavolo state dicendo voi due? Sakura Chan è una ragazza così delicata non potete certo pretendere che affronti da sola dei ladri! Sarebbe troppo pericoloso!"
"Stai dicendo che la nostra Kagura è delicata come uno scaricatore di porto che guida un carro armato in una cristalleria?” chiede Gintoki, la faccia perfettamente neutra.
"Sì, sì, brutto occhialuto cos'è che stai dicendo? Che non sono abbastanza femminile per vincere miss giappone?"
“Kagura tu non vinceresti miss Giappone neanche se ne andasse della tua stessa vita”, risponde Shinpachi, scuotendo la testa.
“Su questo devo darti ragione, Shinpachi, la nostra Kagura non è proprio il tipo di donna che…” Kagura chiude l’ombrello di scatto e spazza via con un colpo secco i due idioti davanti a sè. Poi lascia cadere l’ombrello e si scrocchia le dita, incombendo su di loro come un demone: “Volete ripetere?” chiede con un espressione che -Shinpachi ne è sicurissimo- ha copiato da sua sorella. I due, accasciati contro il muro del vicolo, sentono il sudore gelare loro la schiena. Si lanciano un ultimo disperato sguardo di solidarietà maschile, alla ricerca di qualunque genere di aiuto o strategia che gli permetta di arrivare vivi al giorno dopo: il demone davanti a loro ride e si avvicina di un altro passo.

"Ehi ma quello lì non è il ladro?” esulta Gintoki, indicando qualcosa dietro la schiena della ragazza, “Kagura Shinpachi prendiamolo!”, poi scatta in avanti prima che i due possano anche solo rendersi conto di cosa fosse successo. “Prendiamolo, presto!” urla a sua volta Shinpachi, arrancando a quattro zampe  fino alla fine del vicolo, per poi sparire dietro la curva il più velocemente possibile.

“Bugiardi, dove credete di andare?”, grida a sua volta Kagura che recupera il suo ombrello e si mette ad inseguirli.

Il ladro viene atterrato da Gintoki e Shinpachi lanciati nella sua direzione da un ponderoso calcio di una Kagura parecchio arrabbiata. Ladro e tuttofare rotolano in un ammasso scomposto di braccia e gambe per poi fermarsi, di faccia, contro un muro.


“L'abbiamo preso, Gin!” esulta la ragazzina, riconoscendo il sospetto. Poi piazza un piede sopra quel cumulo umano e, trionfante, inizia a premere: ” ’Sta sera mangeremo cinque porzioni di riso con l’uovo!”
"Brava Kagura, tienilo fermo e le tue quattro porzioni saranno assicurate!" esala Gintoki, “ma adesso lasciami andare!”
“Sì Kagura lasciaci andare o moriremo!” rincara la dose, Shinpachi.
“Vi prego non so che cosa volete da me, ma ve lo darò, lasciatemi respirare!”, supplica il ladro.
“Vi meritate questo e altro per aver detto che Kagura è una racchia”, risponde lei, implacabile.
“Signorina non so chi lei sia, ma è di sicuro la più bella ragazza su cui abbia mai posato gli occhi!”
“Chiudi il becco tu” dice Gintoki, dandogli una testata.
“Sei disgustoso!” Sottolinea Shinpachi, tirandogli un pugno.
“Maniaco!” Aggiunge Kagura, premendo il piede con più forza sul mucchio umano. Il ladro sviene, i due tuttofare urlano in protesta e samurai tenta un ultima disperata mediazione: “Kagura ragiona,” tossisce e cerca di mettere su un’aria da moribondo: “se uccidi anche il ladro non avrai i soldi per la cena e se uccidi noi, non avrai chi te la cucina.”

Le sagge parole di Gintoki frenano l’istinto omicida della ragazza che alza il piede, permettendo ai tre malcapitati di tornare a respirare.

 

 

Il sole sta tramontando, quando i tre Tuttofare tornano a casa: le strade di Edo sono tinte di una calda luce dorata, mentre le prime insegne dei locali notturni vengono accese e le serrande alzate.

"Sono contento che Sakura-Chan abbia ritrovato il suo scrigno" dice Shinpachi, sorridendo.
“Io sono felice che lei e quel pelato di suo padre si siano chiariti”, commenta Kagura, dando un morso a un’alga sott’aceto.
“Ne sono molto contento anche io.” Annuisce Shinpachi, mentre Gin lascia una breve carezza sulla testa della ragazzina.
"Chissà se riceverò uno scrigno o una chiave quando toccherà a me“ sospira il ragazzo, ”Spero che la mia anima gemella sia qualcuno di gentile proprio come Sakura-chan”.
"Ehi Shinpachi guarda che Sakura-Chan ha già trovato la sua anima gemella è quel madao di Tomizawa” ribatte Kagura, masticando lentamente la sua alga sott’aceto e guardando il ragazzo con espressione schifata.
"Tomizawa non può essere un madao ha la stessa età di Sakura Chan!”
"Ci sono persone che sono dei madao nell'anima, ma degli occhiali come te non potranno mai capirlo!"
“È vero, Shinpachi,” annuisce Gintoki, “tu che sei solo un paio di occhiali non potrai mai capire che cosa significa avere un’anima gemella e la trepidazione che provi un momento prima di dichiararti. Tu sei sicuro al 99% che sia lei, ma quel 1% ti fa dubitare e allora quel passo diventa una sfida più difficile di quella di Napoleone a Waterloo.”

"Ma per chi stai facendo il tifo Gin?” sbotta il ragazzo, “Napoleone a Waterloo ha subito la peggiore sconfitta della storia! Così sembra che tutti i ragazzi siano destinati a fallire!"

"Ma cosa te ne frega Shinpachi? Uno sfigato come te non avrà mai successo con le ragazze! Dovresti rinunciare a tutta la storia dell'anima gemella e farti monaco” lo zittisce Kagura.
“Sì, giusto, Shinpachi rasati i capelli in segno di scuse”, la spalleggia Gintoki.
"E di cosa dovrei scusarmi, secondo te?”
"Ti devi scusare di essere un'otaku occhialuto è ovvio!”
"Ehi Kagura stai zitta! Anche un paio di occhiali ha dei sentimenti! Tutti gli uomini sognano di trovare la propria anima gemella nella vita, diglielo anche tu Gin!"

"La forza di volontà di chi insegue un sogno è più brillante di chi l'ha già raggiunto.“, annuisce Gin, fissando lo sguardo dritto sull’orizzonte. “Ma un'anima gemella, Shinpachi?” chiede, il momento aulico già dimenticato: “Ogni uomo insegue l’amore, ma un vero uomo non ha bisogno di una prova per sapere chi ama! Un samurai si fida dell'istinto e protegge  con tutte le sue forze la persona che ha deciso di proteggere. Prendi ad esempio Naruto: il suo amore per Sasuke non è mai vacillato anche quando lui gli ha detto #$@!%& e poi anche #$@!%&, senza contare quando poi gli ha urlato che era solo un brutto #$@!%&£?^§ç.”
 

“Gin dice così perché sa che la sua anima gemella è una vecchia cicciona”


"Ehi ragazzina come ti permetti? La mia anima gemella non è una vecchia cicciona, ma una donna bellissima e elegante come Ana Ketsuno. Anzi è proprio Ana Ketsuno, solo che ancora non ho avuto modo di infilare la chiave nel suo forziere. "
"Che schifo Gin!” urlano i due ragazzini all’unisono, colpendo il samurai alle palle senza nessuna pietà.
"Ma cosa avete capito?” Rantola l’uomo, piegato in due, le mani a proteggere la parte dolorante: “è una cosa perfettamente normale quando si è adulti! Ogni persona del mondo lo ha fatto almeno una volta persino i vostri genitori! Come pensate che si siano conosciuti altrimenti? Ferma Kagura quello fa male! Shinpachi aiuto! Shinpachi!"

 


La cella da cui viene è buia e puzza di piscio, sangue e paura. I samurai sono ammassati a decine gli uni sugli altri tanto che sgranchirsi le gambe è contemporaneamente un lusso e un gesto di aggressione. Nel buio gemiti e pianti perdono forma e proprietario e si amalgamano con sibilii, sospiri, rutti e qualunque altro rumore un corpo umano possa emettere volontariamente o involontariamente. La voce umana non si sente molto, però, la gola è sempre troppo rauca dopo un interrogatorio.

Nella stanza in cui si trova c’è una piccola scaffalatura piena di scartoffie e un tavolino di legno con il materiale per scrivere perfettamente allineato. Ci sono dei cuscini di seta rossi e viola, decorati con motivi floreali pronti ad accogliere un ospite importante. Al muro è appesa una piccola pergamena su cui campeggia la parola “Giustizia” e le pareti sono decorate con motivi di alberi e montagne.
Sono solo cinque tatami e mezzo eppure lo spazio vuoto sembra moltiplicarsi all'infinito nel tratto che va dalla porta scorrevole ai muri della stanza, dal pavimento al soffitto. Il samurai si sente allo scoperto, in pericolo e le parenti sembrano chiudersi e aprirsi intorno a lui in un movimento vorticoso e improvviso. La luce che entra nella stanza, niente di più che un pallido sole autunnale, peggiora l'effetto ottico e lo costringe a tenere gli occhi semichiusi per non farsi abbagliare.

Fissa gli occhi su un punto come ha insegnato a fare a Sakamoto per superare il mal di mare e la sensazione si attenua. Studia le gambe del tavolino e si imprime nella mente le venature del legno: la nausea inizia a regredire, le pareti rallentano il loro movimento impazzito, i colori vivaci delle decorazioni lo aggrediscono con meno forza di prima. La sensazione di vuota estraneità, invece, rimane: non appartiene a questo posto. Il suo mondo è fatto di ciotole sbeccate accatastate in un angolo, vasi da notte stracolmi e strumenti di tortura allineati con cura.

Il silenzio preme sulle sue orecchie come se fosse immerso in acqua e anche il semplice sfregare di tessuto su tessuto diventa un rumore assordante di cui vergognarsi. Il suo respiro sibilante, quello veloce delle guardie, e il battito irregolare del suo cuore rimbombano nelle sue orecchie come tamburi.  L'odore di pulito gli aggredisce le narici e gli dà un capogiro. Non si lava da giorni e i vestiti prudono sulla sua pelle, mentre la suo stesso odore -sudore, sangue, paura, escrementi- lo porta a trattenere un conato.

L’avevano estratto dalla cella a forza di botte, trascinato come un animale destinato al macello, premurandosi di fargli fare il giro largo, quello che passava dal piazzale delle esecuzioni. Alla vista delle teste mozzate dei suoi compagni, aveva sgranato gli occhi e si era immobilizzato: le gambe improvvisamente di cemento. Doveva aver fatto un passo indietro perché una delle guardie era scoppiata a ridere e lo aveva spintonato: “Che c’è? Ti sei cagato addosso? È questo il coraggio che mostrano i samurai davanti alla morte?”
Aveva aperto la bocca per ribattere, ma la voce non era uscita: le guardie aveva sogghignato: “Oggi sei solo in visita samurai: ma ricordati che è questo quello che ti aspetta”. Poi l’avevano portato in quella stanza e costretto in ginocchio con un colpo mirato a fargli perdere l’equilibrio. 


Non si era opposto.

 

Le mani sinistre dei suoi carcerieri gli premono sulle spalle per costringerlo a terra, le destre impugnano un manganello in un chiaro segno di minaccia. Al collo, tenuto da un terzo uomo, ha ancora il laccio collegato a un bastone con cui l'hanno costretto a muoversi senza che fosse libero di scappare: proprio come un cane randagio al laccio degli accalappiacani.

Il magistrato entra poco dopo, annuendo verso le guardie e dedicando al prigioniero niente di più che una rapida occhiata. I suoi movimenti sono lenti e misurati, eleganti proprio come il suo kimono rosso decorato con  raffinati motivi autunnali.
I segni rossastri sul collo, i lividi neri e gialli sono l’unica nota di colore che risalta sulla pelle pallida del prigioniero. I suoi capelli bianchi e ricci sono sporchi e incrostati e lo yukata è semplice, funzionale e in più punti la stoffa si è consumata quasi fino a sparire. Macchie marroni e giallastre decorano il tessuto nei punti in cui l'interrogatorio ha portato le sue conseguenze. Sono vestiti appartenuti a qualche condannato a morte prima di lui e molto presto cambieranno di nuovo proprietario.

Il magistrato sistema con una mano i suoi capelli lunghi lisci e neri che profumano di oli e fiori e il prigioniero vorrebbe passare una mano nella zazzera di capelli mossi che si ritrova in testa, appigliarsi a qualcosa per contenere il disagio che sta provando, ma sa che ogni sua mossa potrebbe essere fraintesa. Le catene bloccano le sue braccia dietro la schiena e costringono le mani una posizione innaturale e dolorosa. Prega che i danni non siano troppo permanenti o non riuscirà più a bere come un essere umano e dovrà leccare l’acqua dalla ciotola come un cane.
Questa volta, di sua iniziativa.

"Il Demone Bianco, Gintoki Sakata”, la sua identità emerge netta e dolorosa dalle parole pacate di quell’uomo. "Sei stato scortato qui da tre uomini e ce ne sono altrettanto pronti ad intervenire appena fuori da questa stanza: riconosciamo la tua pericolosità"
Shiroyasha ghigna ferale dal volto giovane e pallido di Gintoki. Il magistrato non gli concede più che un’occhiata distratta: è la pantomima di una tigre in gabbia e lo sanno entrambi.
"Non sei qui per morire. Non oggi e neanche a breve. Il Bakufu preferisce tenersi il meglio per ultimo e ritiene, contrariamente al mio parere, più utile cercare di estrarti informazioni utili per scovare gli altri Joui."
"Il Bakufu non è fatto da persone particolarmente intelligenti”. La voce roca e derisoria del demone interrompe per la prima volta quella misurata del magistrato. Le guardie lo strattonano, mentre il funzionario alza lo sguardo su di lui senza mostrare nessuna emozione: “Le guardie dicono che sia impossibile farti parlare e che neanche i tuoi compagni di cella hanno il privilegio di sentire spesso il suono della tua voce. Sono onorato del privilegio che mi concedi Demone Bianco "

Gintoki ghigna: "Che c’è? Sei un fan?”, la guardia dietro di lui ringhia minacciosa, così accenna un inchino: "Per gli alti funzionari del Bafuku questo e altro”.
“Non si può negare che da quando sei apparso sul campo di battaglia tu non sia stato altro che una spina del fianco per questo governo. Quando ti abbiamo catturato speravamo che i fastidi fossero finiti eppure, a quanto pare sei destinato a creare problemi persino in queste condizioni”.
Lo sguardo che gli lancia sembra abbracciare tutto: dai vestiti sporchi ai lividi sul volto fino alle mani che lo tengono bloccato al suo posto, sul pavimento.
"Non immagini il motivo per cui ti abbiamo fatto chiamare?"
"Non ne ho idea"
“Non riguarda la tua ostinazione nel voler mantenere un’inutile silenzio. Neanche mi riferisco alle voci che parlano delle tue risposte taglienti. Non è niente di nuovo. Niente che le guardie non possano gestire”.
Il volto di Gintoki resta neutro, indifferente, così il magistrato si umetta le labbra e continua a parlare: ”Sono sicuro che anche un demone sappia come vanno le cose con le anime gemelle. Chi avrebbe detto che uno come te non fosse nemmeno maggiorenne?"

La presa sulle sue spalle si fa leggera, per poi rafforzarsi un secondo dopo: il samurai può sentire gli occhi dei suoi carcerieri trapanargli la schiena. Gintoki sa con assoluta certezza che il suo ritorno in cella non sarà affatto indolore. China appena la testa e lascia che i capelli gli coprano gli occhi e che un mezzo sorriso gli ferisca il viso: "E quanto dovete essere idioti per farvi mettere in difficoltà da un ragazzino che non ha nemmeno tutti i peli sul petto?”

La guardia colpisce immediatamente il prigioniero al volto, facendolo rovinare a terra. Il magistrato assottiglia le labbra e stringe i denti, ma la voce è ancora pacata, come se le ultime parole non fossero state niente di più che un rumore di fondo e il colpo niente più che un leggero inconveniente.

"Talento e fortuna ti hanno condotto qui, Demone Bianco. Ti sei affidato a degli Dei, capricciosi che non hanno fatto altro che maledirti”. Il sorriso di Shiroyasha è più aperto e feroce, ora:" Gli dei non c’entrano," dice e striscia e si contorce per tornare seduto, "al limite si tratta di qualche creatura infernale che è risalita dall'Ade per riportarmi indietro.”
"Un demone come te non merita che la dannazione eterna”, annuisce il funzionario, “eppure, Shiroyasha, sei abbastanza umano per avere diritto a un'anima gemella. Non sembra assurdo anche a te?” Il magistrato fissa lo sguardo sul samurai, come in cerca di una reazione, poi posa un pezzo di carta davanti al prigioniero “Abbiamo dovuto rifiutare la consegna.”

Gintoki stringe i denti e prende fiato, il volto di nuovo seminascosto dai capelli: "Avevi paura finissi per scoparmi tua madre? Non ti preoccupare io sono una persona seria e l'avrei sicuramente sposata. Dopo”. Le guardie lo colpiscono ai reni, togliendogli il fiato: “Chiudi quella fogna, quando sei in presenza del magistrato!”, ruggisce una delle due, continuando a infierire. Gintoki si piega, si accartoccia, ma non perde il ghigno. Il magistrato interrompe il pestaggio con un cenno della mano: il giovane uomo ansima, piegato in due. “Non avete proprio senso dell’umorismo voi”, articola.

”Come prigioniero non hai diritto a ricevere nulla dall'esterno, a meno che non venga autorizzato da questo ufficio: ma un condannato a morte non ha diritto a una storia d’amore, né gli serve”.
Una fitta allo stomaco fa piegare Gintoki ancora più su stesso: il samurai chiude gli occhi e stringe i denti, lasciando uscire un lento sibilo.
“Darti quello scrigno non sarebbe una scelta nè efficiente, nè utile. Non farebbe altro che alimentare false speranze e dicerie: tu non puoi evitare il tuo destino samurai. Dal momento in cui ti sei schierato contro il Bafuku la tua vita era segnata: non importa quanto giovane potessi essere stato, quando ti sei unito alla rivolta. Eri e resti un nemico dello stato”.
Gintoki raddrizza la schiena, ma resta nascosto dietro una cortina di capelli sporchi: “Bello stato quello che affama la popolazione e lecca il culo agli amanto”.
Il magistrato alza la mano e lancia uno uno sguardo di avvertimento alle guardie che fermano il colpo e abbassano le armi, l’uomo che impugna il laccio lo tira verso di sè, però, premendo sulla gola del prigioniero.
“Il cielo non voglia, poi, che tu trovi davvero la tua anima gemella in questo luogo: non ci serve un’altra rivolta carceraria; di sicuro non una capitanata dal Demone Bianco.”
"Potevi gettarlo via e basta, no?”
“Al contrario tuo, Demone Bianco, noi rispettiamo le leggi. Dovevi essere tu a rinunciare”, dice il magistrato, picchiettando delicatamente con la mano sul foglio posato davanti al prigioniero.

I muscoli del samurai si fanno molli tutto d’un colpo, le spalle si incurvano: “E se non lo facessi?”

“Cosa cambierebbe rispetto alla tua attuale situazione, dici? Ben poco, hai ragione”. Gintoki spalanca gli occhi, improvvisamente in allarme, come quando, sul campo di battaglia, si accorge che il nemico sta per sferrare un colpo che non può evitare.
“Ma tu morirai tra pochi giorni. Vorresti davvero lasciare la tua anima gemella a cercarti inutilmente per il resto della sua vita?”
“Io…”
“Sei un samurai, so che dimostrerai onore, malgrado la tua giovane età e la tua scelta di campo”.

 

Gintoki firma la rinuncia con mani ancora anchilosate: il pennello gli sfugge più volte di mano e il tratto è incerto, tremante. Lascia cadere il pennino come se si fosse scottato e abbandona le braccia lungo i fianchi come se fossero di piombo. Le guardie lo ammanettano e lo ributtano nell’inferno a cui appartiene.

 

.

 

La luce calda del tardo pomeriggio illumina tre bambini sdraiati lungo l’argine: tutt’attorno a loro l’erba è schiacciata e compressa: i loro vestiti hanno macchie verdastre all’altezza di gomiti e caviglie e tra i loro capelli è incastrata più di una foglia. Le cicale friniscono, il fiume scorre placido sotto i loro piedi e l’erba alta svetta verso il cielo, quasi a nasconderli dallo sguardo dei passanti.

Il primo bambino è sdraiato con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi verdi persi verso il cielo, magnetizzati da una grossa nuvola di passaggio.

Il secondo è sdraiato su un fianco: una mano a sostenere la testa di capelli bianchi l’altra impegnata a scavare un tunnel nella sua narice sinistra.

Il terzo è seduto compostamente di lato, i capelli lunghi e lisci che svolazzano appena sospinti dalla brezza e lo sguardo concentrato sul libro che sta leggendo.

"Gintoki, come pensi che sarà la nostra anima gemella?”, chiede il primo bambino al secondo: arrossisce mentre lo dice e volta la testa nella direzione opposta all’amico.
"Uh Bakasuki ti interessano queste cose da femmine?”, risponde il bambino con i capelli bianchi, tirandogli una caccola.
”Chi hai chiamato Bakasugi?” si indigna l’altro, allungando il braccio e tirandogli un pugno sulla spalla.
“Quell’idiota a cui piacciono le cose da femmina”, risponde Gintoki, che  gli afferra la mano, per poi lasciarsi cadere sulla schiena, bloccargli la mano sul suo petto e girare le spalle in direzione opposta per mettere il braccio in leva.
“Vuoi che ti compriamo anche un fermaglio da mettere nei tuoi perfetti capelli da nobile?” gli fa il verso, mimando con la mano libera quelli che pensa siano i movimenti aggraziati di una donna.
“Ma certo che non mi interessano le cose da femmina!” si ribella    Bakasugi, girandosi su un fianco e cercando di colpire l’amico sul muso con l’altra mano: “Questa è una cosa importante, però: l’anima gemella fa un’enorme differenza nella vita di un samurai.” Il colpo va a segno e Gintoki, lascia andare la mano dell’amico e si massaggia il naso, offeso.
“L’ha detto anche oggi il maestro non è vero Tsura?”
"Io non sono Tsura sono Katsura”, risponde diligentemente il terzo bambino, senza staccare gli occhi dal libro.
“Bakasuki dì la verità a te l’anima gemella interessa solo perché vuoi che ti baci!" ghigna Gintoki, portando la mano alla bocca e iniziando a soffiargli baci a ripetizione “Smack, smack, smack, tanti baci sotto la luna della fiera d’estate!”
“Che schifo Gintoki chi li vuole i tuoi baci! Che schifo!”, il bambino porta  le braccia avanti per parare quella pioggia di baci immaginaria, mentre l’altro inizia a muoversi ancora più velocemente.
”Takasugi questo non è il modo corretto di comportarsi per un samurai”, lo rimprovera Katsura, lanciandogli uno sguardo severo: "Bisogna sposarsi prima di potersi dare dei baci, soprattutto se si tratta di un’anima gemella, me l’ha detto mia nonna”.
“La tua vecchia non ne capisce niente di queste cose, Tsura!”, si intromette Gintoki, smettendo per attimo di infastidire Takasugi, ”si sarà sposata tipo, mille anni fa! Neanche se la ricorda com’è fatta un’anima gemella.”
"Non sono Tsura, sono Katsura. Le tradizioni sono importanti, Gintoki, non diventerai mai un vero samurai se non le rispetti”
"Che cavolo dici idiota!” Protesta il bambino, gettandosi sopra di lui: “Io sono un samurai mille volte migliore di te che segui tutte queste cose ammuffite!”
"Non sono idiota, sono Katsura”, risponde l’altro senza scomporsi e poi sbilancia l’amico e lo calcia via per toglierselo di dosso: “E le tradizioni non sono cibo, non possono ammuffire.”
”L’unica cosa ammuffita è il tuo cervello, capello riccio, se non riesci neanche a capire l’importanza di apprendere dalla saggezza di quelli venuti prima di noi”, sentenzia Takasugi, incrociando le braccia e guardando l’amico dall’alto in basso. “Ma siamo sicuri che sai leggere?”

"Lascia stare i miei capelli!”, urla Gintoki, tirandosi a sedere e puntando un dito accusatorio verso il bambino con gli occhi verdi, “Lettura o no, tradizioni o no, un tappetto come te non potrà mai battermi!”.
"Eppure ieri sei finito con la faccia nel fango, Gintoki, me allo ricordo bene!”, afferma Katsura con calma, riprendendo a leggere il suo libro come se niente fosse.
"Bene venite qua, tutti e due!" Il bambino dai capelli bianchi balza in piedi: petto avanti e braccia larghe come a sfidarli a colpirlo: "Sfoderate la spada e vediamo chi può battermi adesso! Vi affronto tutti e due insieme!”
"Posso batterti anche a mani nude, cretino”, Takasugi salta in piedi a sua volta e lo spintona.
”Gintoki, Bakasuki”, Kastura, chiude il libro, si alza in piedi a sua volta e si avvicina ai due litiganti, “non penso che il Bushido lo permetta: il maestro ha detto che…”. Ha fatto meno di un passo che Bakasugi gli è addosso e lo strattona per lo yukata: ”Com’è che mi hai chiamato Tsura? Ripetilo un po’ se hai coraggio?”
"Bakasugi, non è il tuo nome Bakasugi?" chiede il bambino con i lunghi capelli neri con l’aria più innocente che riesce a fare. ”E poi non sono Tsura sono Katsura!”, ma le sue ultime parole si perdono in un grido di dolore.
Quando i tre bambini si voltano, la testa dolorante e gli occhi lucidi, incrociano lo sguardo benevolo del loro maestro e il suo pugno ancora minacciosamente alzato.

”Bambini non litigate: è una così bella giornata!" cinguetta il maestro, sedendosi e sorride mentre li guarda massaggiarsi i loro nuovi bernoccoli. Poi Katsura mette su un’aria solenne, Katasugi sembra sinceramente contrito, mentre Gintoki mette il broncio: ”Beh ma Bakasuki ha detto che non posso batterlo dovevo fargli vedere chi era il più forte!"
”Com’è che mi hai chiamato idiota con la permanente?”
"Ehi meglio ricci che lunghi come quelli di Tsura che quando va al bagno gli rimangono incastrati nel sedere”
"Non sono Tsura, sono Katsura e non mi rimangono mai i capelli incastrati nel sedere perché sono un vero samurai e mi faccio la coda!”

“Ricominciate?"

Il sorriso amichevole del loro maestro, scatena immediatamente brividi di terrore lungo la schiena dei tre monelli che fanno rapidamente retromarcia: ”No, no, no!”, si affrettano a negare come un sol’uomo.

Come Shoujou riesca ad essere allo stesso tempo gentile e terrificante è una cosa che proprio non riescono a spiegarsi. Ne vanno terribilmente fieri, però, è il marchio di fabbrica della loro scuola, la Shoka Sonjuku.

”Venite qui”, li invita il maestro. Colpisce con una mano il prato al suo fianco: Gintoki si lascia cadere per terra e si stravacca il più comodamente possibile, Katsura si piega sulle ginocchia e rimane perfettamente composto, Takasugi esita, un passo avanti e uno indietro, e alla fine si siede a gambe incrociate. Soujo li osserva e sorride di nuovo.

”È normale chiedersi chi sarà la propria anima gemella”, dice il maestro, accarezzando i capelli di Takasugi "Ed è normale volerla baciare, anche prima del matrimonio”, continua a spiegare, alternando lo sguardo tra Gintoki e Kastura.
”Ma non è una cosa di cui vi dovete preoccupare adesso: manca ancora tantissimo tempo prima che riceviate uno scrigno o una chiave."
“Ma maestro, con così pochi indizi a disposizione come faremo a trovare la nostra anima gemella?” chiede Katsura e Gintoki alza gli occhi e sbuffa, pianissimo un “Secchione”.
"Dovrete trovare il vostro modo”, risponde l’uomo, concedendosi un piccolo sorriso divertito alle parole dell’allievo: ”C’è chi mostra scrigno e chiave a ogni persona e chi invece le mostra mai. C’è chi ci rinuncia, c’è chi la cerca per tutta la vita. Non c’è un unico modo né un modo giusto, però posso dirvi questo: se sarete fedeli a voi stessi troverete di sicuro la vostra anima gemella”.
"E se non esistesse?”, la voce di Gintoki è perfettamente neutra, ma il volto rimane puntato verso il terreno e un ciuffo di capelli ribelli gli nasconde accuratamente l’espressione. “Se, che ne so, il destino trovasse Bakasugi troppo brutto per assegnargli un’anima gemella?"
”Ehi! " protesta l’altro bambino, ma viene interrotto da un gesto del suo maestro che sorride, raddolcito.
”Ogni persona ha un’anima gemella, Gintoki, non importa chi sia o da dove venga: a prescindere da tutto questa persona esiste”. L’uomo prende fiato per dare tempo alle sue parole di essere assimilate con cura: “Non importa dove sarete: la comunicazione riuscirà sempre a raggiungervi, fidatevi di me”.  Il maestro arruffa i capelli bianchi del suo allievo, che alza lo sguardo: “Anche in fondo al mare?” chiede e il maestro sorride: ”Anche nel Castello degli uomini pesce”.
“Anche se fossimo nel regno dei demoni?” chiede, invece, Takasugi, tormentandosi le mani.
“Persino là, anche se doveste essere rinchiusi in una pesca!”
“Ma maestro non è possibile essere ricevere lettere all’interno di una pesca.”
“Oh ma stai zitto Tsura! Se il maestro dice che è possibile è possibile!”, scatta Gintoki, pronto di nuovo a menare le mani.
“Sì ma com’è possibile?”
“È ovvio, no, Tsura?” dice Gintoki, il dito di nuovo infilato nella narice,“C’è la cassetta della posta!”
Il maestro ride, Katsura riflette sull’esistenza delle cassette delle lettere delle pesche e gli altri due bambini chiariscono diligentemente ogni suo dubbio, quasi le avessero montate con le loro mani.

“La lettera vi raggiungerà ovunque”, li interrompe il maestro “ma anche nel caso non succedesse, anche se non doveste mai trovare la vostra anima gemella, potrete vivere lo stesso una vita meravigliosa”. Il suo sguardo scivola sul fiume e poi si perde verso l’orizzonte: “Non tutte le persone che amiamo sono la nostra anima gemella, ma lo stesso, grazie a loro, viviamo una vita felice.”

Il sorriso del maestro è dolce come miele, le cicale friniscono, il fiume scorre lento e nella luce calda del pomeriggio ogni cosa è già perfetta com’è.

 

Notes:

Ciao, prima volta in assoluto che pubblica qua su AO3 (quindi spero di aver fatto tutto per bene). Questa è una storia già pubblicata su EFP, ma mi è piaciuto molto scriverla e spero possa raggiungere qualche persona in più. Fatemi sapere cosa ne pensate.