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Language:
Italiano
Stats:
Published:
2025-11-26
Words:
1,824
Chapters:
1/1
Kudos:
2
Hits:
27

Questo. Così.

Summary:

Fissò le sue ciglia, sentendosi abbandonare, cadere in un abbraccio di vuoto e rumori distanti nelle orecchie. La terra sotto di loro cantava, viveva, piangeva.

Notes:

(See the end of the work for notes.)

Work Text:

Era vivo. Poteva sentire il calmo, infinito torrente di vita, nell'esistenza del respiro che lo scosse, invadergli la punta delle dita, il collo pungolato da erba bagnata, nella mente che pareva saltare nella fronte tentando di balzare fuori. Era morto; questo lo ricordava, e ora... non lo era più.
Ascoltò. Il vento sembrava raccogliere ogni suono, lontano e sconosciuto, pareva infilarsi nelle labbra ora schiuse — respirando. Piano, lentamente. E poi fluttuare rapido; un messaggero testimone del suo vagare.
L'ultima cosa che aveva visto.

L'ultima cosa — era stato il viso di Merlin, prosciugato da ogni speranza. Ricordava. Lo aveva guardato, distaccato come si sentiva lui adesso, dopo che era riuscito a sfiorarlo un'ultima volta sulla testa in una carezza che gli era costata la finale briciola di forza in corpo. Grazie, gli aveva detto. Come se fosse sufficiente.


Arthur era vivo, ed era sdraiato; respirava con qualcosa di impossibile nella bocca dello stomaco. Ghiaccio, lava; tanto da non riuscire a muoversi. Una contraddizione che gli tagliò coscienza.
Vi erano le stelle — opache, ma c'erano, e guizzavano; Arthur le fissò, non seppe per quanto. Fu solo quando sentì due rumori che si mosse, sedendosi di scatto.


Passi. E una scarica intensa che fece vibrare la torre lì vicina, scuotendola. Socchiudendo gli occhi, Arthur mise la mano sul fianco, imprecando quando non trovò Excalibur.
Poi lo vide; e fu come essere trapassato ancora.
Fu ben diverso da venire aperto in due da una lama forgiata da respiro di drago; eppure, era lo stesso, antico, profondo dolore.
Quando i suoi piedi si fermarono, era anziano.

Come quando aveva chiamato i tuoni decimando l'ultima armata che Arthur aveva combattuto. Come quando aveva ridato loro  speranza, da lontano. Quando fissò i suoi piedi prendere a muoversi, Arthur vide i lunghi capelli bianchi sparire, le rughe dissiparsi dando colore al viso, le ginocchia leggermente piegate alzarsi per raggiungerlo in due falcate.
Perché ovviamente lui era lì. Perché come aveva potuto pensare diversamente, nei pochi istanti di neonata vita?


Guardando le sue mani tese, la disperazione di quegli occhi — Arthur riuscì solo a muovere un braccio verso di lui; sarebbe morto, se solo avesse fatto altro, questo pensava, fuori di sé.
Quando tutto ciò che quell'uomo era finì con le ginocchia a terra, lo strinse, chiudendo gli occhi.
Merlin gli fece scivolare le braccia al collo, gli infilò le mani nei capelli e gli spinse la faccia contro il torace che si alzava e abbassava in un ritmo preoccupante. Il suo respiro frantumato gli fece rizzare ogni singolo pelo sul corpo, flaggellandolo di brividi.


Arthur voleva dire il suo nome. Voleva ringraziarlo.
Riuscì solo a stringergli la schiena, sentendo le sue dita serrarsi fra i capelli, in una morsa dolorosa.
Dolorosa andava bene—dolorosa, poteva sopportarlo. Era il resto che non poteva. Non poteva. Spinse il naso nel suo collo, respirò contro la sua pelle, mentre quell'infinito momento diveniva tempesta e lo spezzava.
La mente, il retro del collo, la punta delle dita; tutto ciò che di vivo e umano provava, genuflesso—e glielo doveva, glielo doveva.


《Merlin,》 disse, e fu annientamento per entrambi.
《Da—da quanto—》 Merlin tremava tanto da muoverli entrambi.
Arthur lo strinse di più e così tremarono assieme.
《Adesso. Un momento fa.》
Gli avambracci di Merlin gli coprivano le orecchie, il battito impazzito della sua giugulare contro le labbra.
《Da quanto?》 Fu l'unica cosa che seppe dire, negli spasmi che erano l'uno contro all'altro.
Merlin prese ad annaspare, e gli strattonò i capelli, e Arthur non disse altro, si fece muovere, guardandolo andare a pezzi davanti ai suoi occhi.


《Mille—millecinque—cinque cento a—anni.》
Arthur vide Merlin fissarlo mentre andava in frantumi a sua volta. Lo capì, perché serrò le labbra, e se lo spinse contro, respirando a fatica, quasi a scusarsi.
《Emrys,》 singhiozzò, continuando a tremare così forte, 《è il nome con il quale i... le creature magiche... mi... mi chiamavano. Significa im... immortale. Arthur.》 Disse il suo nome come una preghiera, e Arthur moriva, moriva.

《Sei tornato.》
No. No. No, no, no.
Arthur si districò dalla sue braccia, sentendo la bile acida salire, finire dietro i denti. Alzò una mano, e pareva una foglia nel vento, quello era. No. Millecinquecento anni. No.
La voce di Gaius nella mente gli fece esalare un verso, che Arthur sentì squarciarlo.
"Merlin non possiede solo poteri magici."
Merlin aveva detto il suo nome, ancora. Gli aveva detto, sei tornato.
Significa immortale. 《No.》


Vide il suo viso affilato contorcersi, gli occhi rossi insanguinati, le mani aprirsi e chiudersi, le guance e collo pieni di lacrime. Arthur tentò di asciugargliele, ma sobbalzando finì con sfiorargli lo zigomo. Fissò le sue ciglia, sentendosi abbandonare, cadere in un abbraccio di vuoto e rumori distanti nelle orecchie. La terra sotto di loro cantava, viveva, piangeva.
Arthur chiuse gli occhi, serrandoli, afferrò familiari spalle ossute reggendo e reggendosi; quando tremava e basta, dopo pochi istanti, gli afferrò il viso e lo baciò, e quello era il tornare alla vita, tornare a casa.


Era l'unica cosa che poteva avvicinarsi alla devastazione che sentiva e al bisogno di placarla. Di rassicurarlo. Di dirgli...
Era l'unica cosa che riuscì a fare. Dal sei tornato, a questo, al grazie—iniziava tutto da lì, dal respiro mozzato di Merlin, alle sue dita che tornavano nei suoi capelli, alla pienezza e morbidezza delle sue labbra contro le sue. Era volare, era ricordare, era l'unica casa nella quale fosse mai esistito. 

Questo scoprì — mentre l'uomo che stava baciando gli lasciava lacrime sul viso, e sul punto dove erano uniti mentre i singhiozzi gli facevano tremare il labbro inferiore contro al suo.
Le sue lacrime salate sulla bocca.
Era devastante, era impossibile; erano loro, e Arthur volle ridere per averci messo così tanto tempo a capirlo. Lo sentì, lo capì, lo vide nello sbiadire di ogni altra cosa.
La morte, e il ritornare, e chi era stato.


Quando Merlin rabbrividì tanto da staccare il delicato contatto tra di loro, Arthur lo seguì senza pensarci, lo rincorse, lo cercò; con le mani ai lati del viso, ora, se lo spinse di nuovo contro, mentre le dita sobbalzavano vicino le loro labbra unite e alle sue occhiaie. Vacillare,  sconfinare.
Arthur avrebbe voluto smettere di sussultare, di rimanere fermo; di non schiantarsi, ma di tenere, e si impose, lo impose ai suoi muscoli di tenerlo fermo di tenerli fermi. Socchiuse la bocca, bevve il suono strangolato di Merlin, arpionò maggiormente le dita sul suo viso. Questo era quello che sarebbe sopravvissuto, pensò, sentendosi fuori dal corpo e al contempo troppo dentro.


Questo era quello che sarebbe vissuto dalla vecchia, mai chiusa ferita. Arthur rabbrividì violentemente, e Merlin con lui.
Questo, questo, così. Con un respiro profondo che non seppe come fece a prendere, gli respirò addosso, e leccò tra le sue labbra aperte e calde. Lo baciò, nelle escoriazioni che sentiva, nel tumulto in cui si trasformava.
Questo. Fu l'ultimo pensiero, prima che Merlin ricambiasse, prima del salto dall'estremità dell'anima; incurante di dove sarebbe atterrato, con paura addosso, ma Merlin era , così vicino, e Arthur inghiottì ansiti, e pensieri; questo, questo è tutto ciò che farò in questa vita.


Era un bacio disperato e imperfetto e Arthur non lo avrebbe mai, mai dimenticato. Non avrebbe mai scordato la sensazione che ebbe baciando Merlin, tenendolo stretto, con una disperazione invivibile. Anche quando i polmoni bruciavano Arthur non si staccò, gli respirò delirante nella bocca, che sapeva di lacrime e fame. Questo, così, continuò a pensare, mentre muoveva le mani dal suo viso e le portava ai capelli neri, un ammasso di ricci disordinati che gli incendiò di bisogno il corpo. Vi spinse le dita, ed erano morbidi, erano perfetti in un modo che gli provocò fisicamente dolore.


Così. Gli spinse la lingua in bocca, di nuovo, più vicino, mentre il torace che ardeva veniva premuto contro il battito impazzito di Merlin. Così, così, questo. Gli tracciò i denti, ogni piccolo mugolio rotto, la punta della lingua che sapeva chiamarlo. Lo baciò fino a che Merlin non lo spinse via, e la sua faccia bagnata, sconvolta, in un'emozione senza nome gli fece stringere le dita tra i ricci, tirandoselo in grembo; non gli importava il resto, al diavolo il resto; era tornato per questo questo questo.

Gli permise di respirare con le labbra contro le sue, nella stessa posizione, saliva sui menti, quasi oscene e aperte e non gli interessava altro.
Lo sentì deglutire, lo sentì muoversi contro di lui.
《Stai zitto,》 lo implorò, perché non poteva. Inclinò la testa, catturando vocali e sussulti, ancora, ancora, ancora.
Così. Lasciò i ricci, andò dai bicipiti, alle mani che erano serrate e tremolanti. Gliele aprì, sfiorò i palmi, intrecciò le loro dita assieme, sentendo i suoi polpastrelli sulle nocche e viceversa.
《Arthur—》 singhiozzò lui contro la sua bocca, e Dio, Arthur continuò a baciarlo solo per zittirlo, come se non avesse bisogno disperato di farlo, come se non sarebbe morto, se non avesse continuato a baciarlo.
Sarebbe dovuto essere strano, ma era strano non baciarlo, era assurdo non respirargli dentro.


No non gli avrebbe permesso di chiedere, o parlare, perché Arthur lo voleva così, lì, in quel modo. Voleva questo. Tirò, e Merlin gli diede una ginocchiata sulle cosce ansimando; tirò, pretendendo, mentre riperdevano respiro. Merlin gli cadde in grembo, finalmente, finalmente, gli strinse le gambe alla vita, così come le dita; una morsa che faceva quasi male; questo, così. Si sentiva disumano dal bisogno di tenerlo vicino. Di avere quelle labbra addosso. Quel contatto viscerale.
Dio, avrebbe voluto saltare fuori dal suo corpo per entrare in quello di Merlin. Merlin, che gli aveva detto sei tornato, sei tornato; Merlin, vivo, vivo, vivo.


Quando si staccarono, i suoi occhi blu lo inchiodarono, traballarono di lacrime.
《Non piangere》 gli mormorò, implorante, come se non potesse sopportarlo.
Nemmeno Arthur sopportava. Non riusciva a sopportare niente, o tutto. Sentiva le sue, di lacrime, crollare e scivolare e ferirgli la pelle come fossero composte da lame affilate.
Sono tornato, avrebbe voluto dirgli, sono tornato a casa e mi dispiace di averci messo così tanto e di non averlo capito prima e di essere così in ritardo e ti amo in un modo che mi sta massacrando.


《Baciami,》 riuscì a dire, a pezzi, perché non importava se lo era, non davanti a lui. 《Baciami,》 ripeté, quasi un ordine, ma non lo era, era un'implorazione. Era una promessa. Era adorazione. Arthur vacillò in se stesso, continuando a tremare da avere i muscoli devastati—era adorazione.
"Io? Sono nato per servirvi Arthur. E ne sono fiero. E non cambierei niente." Così.
Era rinato per baciarlo. Per sentirlo. Ansimò, quando Merlin lo baciò. Così.


Non seppe per quanto rimasero così, a baciarsi e riprendere fiato e tornare a baciarsi. Non seppe nulla che non fosse lui.
Così. Questo, pensò, mentre Merlin gli lasciava le dita e prendeva a sfiorargli il viso, con carezze delicate, è il mio destino.





Fin Qui il sequel, a chi interessa:

Notes:

Beh, che dire? Ieri non ho dormito, e mi sono venuti in mente loro, così, solo che nella mia testa, sono più viscerali di... er.. questa cosa che mi è uscita. Ero indecisa se postarla, ma alla fine why not? La mia otp per sempre ♡